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La Cassazione smonta il ‘teorema torinese’: i no tav non sono terroristi

admin giugno 4, 2014 campagne Commenti disabilitati su La Cassazione smonta il ‘teorema torinese’: i no tav non sono terroristi

di Gabriele Moroni, Arci Valle Susa e Alfredo Simone, Arci Liguria

Giovedì 22 maggio è iniziato il processo a Claudio Alberto, Niccolò Blasi, Mattia Zanotti e Chiara Zenobi, arrestati a dicembre dello scorso anno con la pesante accusa di terrorismo per la presunta partecipazione all’azione avvenuta il 14 maggio 2013 al cantiere di Chiomonte, azione che causò solo danni materiali, tra cui il più rilevante fu l’incendio di un compressore.
Il giorno dopo Massimo Numa – giornalista anti No Tav per definizione – iniziava l’articolo affermando che «Non s’è interrotto, se non per pochi minuti, lo scavo del tunnel geognostico della linea ferroviaria Torino-Lione».

Ma per la Procura torinese, con l’avallo del Tribunale del riesame, si era trattato di terrorismo e i quattro No Tav hanno così subito lunghi mesi di detenzione in regime di alta sorveglianza, fino a quando la Corte di Cassazione, a pochi giorni dall’inizio del processo, ha smontato quell’accusa e con essa il ‘teorema torinese’. Lo stesso ex procuratore Caselli prima della pronuncia della Cassazione aveva messo le mani avanti in un’intervista a Repubblica: «L’accusa è stata confermata da due giudici indipendenti, può darsi cadrà in dibattimento….».

Lo sforzo di creare attorno al processo un clima da ‘alta tensione’ c’era comunque stato, arrivando persino a spostare la prima udienza dal 14 al 22 maggio a causa della concomitanza con la finale di Europa League di calcio ospitata a Torino, che non avrebbe consentito di disporre di un adeguato contingente di forze dell’ordine! Per una cronaca esaustiva della prima udienza segnaliamo questo link: www.tgmaddalena.it/22-maggio-2014-prima-udienza-processo-per-terrorismo-diretta.

Dalla stesura del capo d’imputazione – in cui i magistrati elencano episodi che vanno dai sabotaggi ai mezzi delle ditte che lavorano nel cantiere di Chiomonte alle scritte nei bagni a Nichelino, dagli scontri di piazza a un pollo morto trovato sotto casa di Esposito e così via – appare chiaro l’obiettivo di criminalizzare la lotta portata avanti dal movimento No Tav.

È profondamente sbagliato relegare ora la vicenda alle cronache giudiziarie; si deve anzi interrompere questa contrapposizione muscolare fra istituzioni e cittadini per far luce. Su questo il Controsservatorio Valsusa ha redatto un primo quaderno, Come si reprime un movimento: il caso TAV a cura di Livio Pepino (ed. Intra Moenia). La Val di Susa è dunque un caso esemplare di come la politica abbia respinto il confronto e il dialogo necessari, sollecitati ancora lo scorso anno da numerosissime associazioni, compresa l’Arci che si è pronunciata in tale senso anche al recente congresso nazionale.

Nessuna decisione definitiva è stata ancora presa con la ratifica dell’Accordo Italo-francese, che non aveva «come oggetto di permettere l’avvio dei lavori definitivi della parte comune italo-francese, che richiederà l‘approvazione di un protocollo addizionale separato, tenendo conto in particolare della partecipazione definitiva dell’UE al progetto».

Nei prossimi mesi le organizzazioni della società civile, che hanno ancora la capacità di rappresentare le istanze provenienti dai territori, dovranno quindi rinnovare con forza la richiesta a Governo e Parlamento della sospensione dei lavori e l’avvio di un confronto pubblico e indipendente.

ArciReport, 29 maggio 2014

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